Modifica a livello DNA genetico anche per l'uomo

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Homo Sapiens OGM: razza senza istinti mammiferi territoriali?

L'"Homo Sapiens" è un mammifero territoriale: questa affermazione non potrà mai essere messa in dubbio, poiché l'essere umano è di fatto geneticamente un primato e come tale ne incorpora molti comportamenti. Necessita pertanto di un proprio ambiente, di un proprio volume dimensionale di azione, potenzialmente definibile come nicchia ecologica all'interno della sfera sociale in cui vive. Questo fenomeno si manifesta in molti modi differenti, principalmente nel prendere possesso all'interno della suddetta area di azione, ma anche nell'espandere la stessa proporzionalmente alle proprie possibilità, operazione che nella storia non sempre è stata legata al rispetto per ciò che tale ambiente contenesse prima della sua appropriazione.
Quando non è solo, si manifesta una sorta di competizione tra individui che può dar luogo a conflitti di vario tipo. Questi possono essere pacifici o violenti, ma la natura dell'uomo si configura comunque come quella di un animale che desidera avere il controllo della propria zona di influenza.
Si presentano quindi fenomeni comportamentali che sebbene possano essere ritenuti comuni da un punto di vista naturalistico sociale, spesso portano a numerose situazioni dove emerge il predominio di uno o più individui su altri. La guerra, la fame nel mondo, le discriminazioni sono solo alcuni degli esempi più evidenti di tale mammifera genicità.

"Wir brauchen Lebensraum - Abbiamo bisogno di spazio vitale"
Tale frase divenne un mantra per la politica espansionistica del regime nazista e fu spesso utilizzata per giustificare l'invasione dei territori degli stati vicini. Ma è davvero un concetto nuovo per la storia?
In realtà non esiste civiltà conosciuta in cui non vi siano state documentate guerre e politiche volte all'ampliamento dei confini e relativa sfera di influenza, ma per restare in tema occidentale potremmo ad esempio citare l'Impero romano, riuscitosi ad estendersi su una vastissima area geografica, eccezionale per i tempi, dal Nord Africa al Medio Oriente. La politica di acquisizione territoriale romana si basava sull'idea di "romanizzazione", ovvero l'idea che i popoli conquistati avrebbero adottato la lingua, la cultura e le istituzioni romane. L'Impero romano necessitava di nuove terre e risorse per sostenere la sua popolazione in crescita e la sua economia in espansione, giustificando le sue azioni come un destino "naturale" delle conquiste da parte dei "romani" stessi.
In epoche più recenti, dopo la scoperta del "nuovo mondo", i conquistadores spagnoli nell'America del Sud colonizzarono le popolazioni di quelle terre, portando schiavismo e sfruttamento delle risorse. Allo stesso modo, i colonizzatori britannici in Nord America ed in India imposero il loro controllo politico ed economico sulle etnie locali, spesso a scapito delle culture già presenti e dell'equilibrio naturale locale (la scomparsa del Dodo del Madagascar è solo un esempio delle migliaia di specie animali di cui l'uomo si è reso protagonista nell'estinzione), arrogandosi il diritto di aver "scoperto" nuove terre per le quali in base alla mammifera territorialità sarebbe stato giusto rivendicarne il possesso.
Sebbene sia importante ricordare, in tali contesti, le differenze tra la colonizzazione e la politica espansionistica nazista giustificata come "spazio vitale" (ovvero nel primo caso ci sono stati anche fenomeni di confronto fra culture e popoli diversi, mentre nel "lebensraum" si è radicalizzata l'idea di una superiorità etnica e culturale privilegiante un popolo che ha il diritto di dominare gli altri e di espandersi attraverso il loro totale annientamento, senza ignorare il fattore sociale, nel quale la colonizzazione può essere vista come una forma di espansione politica ed economica, in contrapposizione ad una narrativa razzista, aggressiva e di dominio assoluto), rimane comunque vivo il concetto iniziale: il desiderio di territorialità fa parte di un sistema genetico insito nel dna delle specie mammifere, pertanto la sua attuazione ne definisce i meri dettagli applicativi, senza sminuirne la causa.
Tali fenomeni si espandono anche a livello riproduttivo. Si dovrebbe considerare ed ammettere il carattere primitivo dei rituali di accoppiamento con cui gli esseri umani si uniscono, pratiche che unite ai comportamenti prima citati, portano a possessività, aggressività e spesso a violenza da entrambe le parti. Il tutto senza considerare i problemi di natura riproduttiva stessa, che ci porta alla domanda su come possa essere ancora presente nella nostra società così tecnologica un sistema che genera continuamente malattie genetiche e complicazioni al parto, potenzialmente letali.

Prima di addentrarci nei dettagli di una tale ipotesi, è bene sottolineare che non vi è alcun dubbio sui lati positivi della posta in gioco: il desiderio di porre fine ai conflitti, alla fame e alle discriminazioni è un obiettivo che riscuote favore presso la maggior parte della popolazione mondiale.
Il punto di partenza della questione è quindi quello di chiedersi se sia possibile eliminare tutti questi problemi e risolverli definitivamente mediante una eradicazione a livello genetico che vada ad agire su tutti quei fenomeni comportamentali che determinano il nostro agire aggressivo e di predominio, beneficiando contemporaneamente di una migliore salute dell'individuo grazie alla correzione di eventuali malattie congenite.
Tuttavia, l'idea di una "eliminazione" genetica va essere analizzata con attenzione:
In primo luogo qualcuno potrebbe contestare il fatto che si deleghi alla tecnologia il compito di modificare o fare evolvere l'uomo in un processo non naturale. In contrapposizione a tale asserzione si potrebbe altresì replicare che la tecnologia, non rappresenta l'evoluzione di una specie, ma piuttosto uno strumento che l'uomo stesso ha creato per migliorare e perfezionare la propria vita. Allo stesso modo in cui il parto è praticato in modo "assistito" con tutte le misure igienico sanitarie del caso, anche un controllo "assistito" del patrimonio genetico aiuterebbe ad eliminare tutte la malattie che possono "naturalmente" emergere dal processo di ricombinazione cromosomico. Inoltre, dal momento che la sessualità umana è un fenomeno molto complesso e vario, non riducibile a semplici modelli, non si parla di eliminare il concetto di provare amore, affetto o sentimenti, ma dei fenomeni di possessione ed aggressività che possono scaturire da questi.
In secondo luogo si potrebbe obiettare che l'inclusione di dna ricombinato o utero artificiale nel processo di genesi di un nuovo individuo porterebbe inevitabilmente ad una serie di problemi etici molto delicati. La manipolazione di embrioni e feti fa infatti sorgere l'idea che l'impronta genetica della madre possa essere affidata maggiormente alla tecnologia piuttosto che alla natura, facendola apparire come una sorta di progetto eugenetico che potrebbe portare a soluzioni crude o ingiuste, ad esempio con la selezione di embrioni in base al colore della pelle o alle caratteristiche fisiche. A tali dubbi si replica che il "modus operandi" naturale stesso è volto al fine che solo gli individui con i caratteri genetici più adatti possano detenere il privilegio di accoppiarsi: difatti i cosiddetti "maschio o femmina alfa" non sono necessariamente coloro che sono più forti fisicamente (sebbene in molti contesti la forza abbia la sua rilevanza, dato l'impegno fisico a cui ogni individuo sarà soggetto nella vita), ma che presentano le migliori caratteristiche di sopravvivenza per le condizioni ambientali specifiche: solo coloro che sono sopravvissuti grazie a tali caratteri avranno infatti la possibilità di trasmetterli alla generazione successiva, pertanto è la natura stessa ad avere scandito tale sistema "eugenetico" fin dall'inizio. Le peculiarità fisiche sono adatte all'ambiente in cui si vive: si ricorda che i tratti somatici come colore della pelle, occhi o peluria, tanto per citarne alcuni, non sono stabiliti dall'evoluzione perché "la natura è bella" ma in quanto necessari all'ambiente geoetnico in cui la vita dell'individuo si svolge.
In terzo luogo, la concessione del beneficio del dubbio fa sorgere la spontanea domanda se l'eradicazione dei comportamenti dominanti dell'essere umano possa effettivamente ridurre azioni violente come guerre o omicidi, siano essi per fini territoriali o passionali, ovvero se a livello genetico si potessero eliminare quei comportamenti che portano a questi crimini, siamo davvero sicuri che si porterebbe all'eliminazione del fenomeno stesso?
Ovviamente a tale domanda fintantoché non si entri in una sperimentazione pratica non esiste a data attuale una risposta univoca. Si tenga però in considerazione che la società moderna non è solo fatta di aggressività, ma anche di valori positivi come l'empatia, la solidarietà, la giustizia e la cooperazione. Si ipotizza che un indirizzamento genetico che limiti ormoni scatenanti aggressività o territorialità potrebbe accrescere tali aspetti positivi per la pacifica e costruttiva convivenza.

Le difficoltà che si presentano sono comunque notevoli:
Un primo aspetto da considerare riguarda la complessità della genetica umana, che rende difficile identificare i singoli geni responsabili di tali comportamenti. Ciò richiede un'ampia e complessa identificazione sequenziale e la comprensione di come tali geni interagiscono tra loro per regolare il comportamento umano; più in generale, la sperimentazione in questo contesto si rende di fatto molto delicata e richiede particolare cautela etica e legale. La modifica genetica su individui umani porta a molte domande su come effettuare l'applicazione di tale tecnica ed i possibili risultati o conseguenze che ne scaturiranno. Inoltre, anche se si trovassero i geni responsabili dell'agire nell'individuo, sarebbe necessario valutare attentamente gli effetti a lungo termine conseguenti alla selezione e manipolazione genetica all'interno delle future generazioni: ciò implica ulteriori ricerche e studi sulle ricadute socio-culturali delle modifiche genetiche.
Si tenga presente comunque il totale del piatto nella bilancia: se una tale modifica avesse successo, potrebbe ridurre notevolmente o addirittura eliminare alcune delle forme più gravi di violenza e conflitto tra gli individui, come l'omicidio, il femminicidio gli stupri, senza contare che non ci sarebbero più morti per guerre o conflitti sociali. Questo avrebbe certamente un impatto positivo sulla società, a livello individuale e collettivo. La riduzione o l'eliminazione di questi comportamenti potrebbe anche aiutare a favorire l'interazione pacifica tra le diverse culture, etnie e religioni, favorendo la cooperazione e la convivenza armoniosa, portando a una maggiore coesione dell'individuo. La modifica delle modalità di accoppiamento nell'essere umano ridurrebbe le malattie genetiche legate agli errori che statisticamente la natura ci riserva, portando un miglioramento della salute pubblica, riducendo l'invecchiamento precoce dell'individuo e quindi estendendo la qualità della vita delle persone.
Si andrebbe quindi verso un percorso di maggiore consapevolezza e di un maggior impegno civile nella costruzione di una società più giusta e pacifica, che rispetti i diritti fondamentali di ogni individuo, del territorio, della natura e promuova la cooperazione e la solidarietà tra i popoli. Solo in questo modo sarà possibile porre fine ai conflitti e alle discriminazioni in modo definitivo e duraturo.